Salvatore Riccobono
Professore di Diritto romano nella Facoltà di Giurisprudenza
Salvatore Riccobono nacque a San Giuseppe Jato (Palermo) il 31 gennaio 1864. Si laureò in Giurisprudenza nell’Università di Palermo nel 1889, discutendo una tesi di Diritto romano sull’istituto del possesso. Successivamente si recò in Germania, dove rimase per quattro anni, fino al 1893, frequentando i corsi tenuti da prestigiosi maestri (tra cui Goldschmidt, Pernice e Windscheid) nelle Università di Monaco di Baviera, Lipsia, Berlino, Strasburgo. Come sostenuto da Marrone, il soggiorno ininterrotto di quattro anni in Germania, in un «clima culturale particolarmente stimolante confermò la convinzione che l’indirizzo storico era, per gli studi del diritto romano, l’unico che aveva ormai significato, ne intravide le prospettive e ne assorbì i metodi, e al contempo consolidò la propria formazione giuridica». Al suo ritorno in Italia seguì Vittorio Scialoja e si perfezionò nella sua scuola di esegesi. Negli anni 1893-1895 furono pubblicati i suoi primi lavori scientifici. Riccobono venne nominato, con decreto reale del 21 gennaio 1897, professore ordinario di Diritto romano nell’Università di Sassari e prese immediatamente servizio dal primo febbraio dello stesso anno. Il concorso per un posto di ordinario alla cattedra di Diritto romano si era ormai concluso il 23 ottobre 1896. La commissione esaminatrice, presieduta da Filippo Serafini e composta da Giuseppe Brini, Muzio Pampaloni, Carlo Fadda e Contardo Ferrini, attribuì il primo posto a Gino Segrè (già ordinario di Pandette all’Università di Cagliari) e il secondo posto, ex aequo, ai professori straordinari Emilio Costa e Salvatore Riccobono. Nell’Università di Sassari, il Riccobono venne chiamato a ricoprire la cattedra di Diritto romano rimasta priva di titolare in seguito alla scomparsa di Salvatore Virdis Prosperi, avvenuta nel 1895. L’imponente produzione scientifica di Riccobono fu ininterrotta dal 1893 e si interruppe solo qualche anno prima della morte avvenuta a Roma il 5 aprile 1958. Limitandoci alla produzione scientifica nel biennio 1897-1898, a partire, quindi, dagli scritti pubblicati nel periodo di insegnamento nell’ateneo turritano fino all’anno successivo, senza alcun dubbio gli anni Novanta dell’Ottocento furono, come scrive Mario Talamanca, «importanti perché – in quel lento svilupparsi della metodologia interpolazionistica in sinergia con gli altri atteggiamenti della romanistica e non solo italiana – si venne a fissare la cornice nella quale si sarebbe svolta, per circa un cinquantennio, la ricerca sulle fonti romanistiche e sui loro contenuti giusprivatistici». A Riccobono va riconosciuto il grande merito di aver contribuito in maniera determinante al rinnovamento del metodo negli studi romanistici iniziato alla fine dell’Ottocento e protrattosi agli inizi del secolo successivo. Il grande maestro fu l’indiscusso fondatore in Italia del metodo critico interpolazionistico, fin dai primi scritti e, come ha sottolineato Baviera, «delineò, con mirabile precisione, lo scopo delle sue ricerche: ricostruire la storia interna degli istituti giuridici nel diritto classico, attraverso la ricostruzione delle singole dottrine, che in proposito i giureconsulti classici avevano elaborato», dimostrando «che spesso dottrine estranee al giurista classico, cui apparteneva il frammento, si erano formate nel periodo postclassico, o immediatamente precedente alla compilazione, per opera della prassi». In questo modo Riccobono creò un nuovo metodo critico nell’esegesi, le cui regole venivano tratte «dalla viva realtà dei frammenti». Come afferma Ugo Brasiello «Riccobono ci fa vedere un diritto classico dinamico, ricco di tendenze e di opinioni diverse e contrastanti, giganteggiante nella personalità dei singoli interpreti». Risale al 1897 la pubblicazione nell’Archivio Giuridico dello scritto dal titolo “La distinzione delle impensae e la regola fructus intelleguntur deductis impensis”. Il tema delle impensae, affrontato da Riccobono per la prima volta, per poi essere ripreso in scritti successivi, viene affrontato seguendo il metodo critico nell’esegesi delle fonti. Nella “Dottrina dell’alveo abbandonato”, pubblicato nel 1898, emerge chiaramente la predisposizione di Riccobono per l’esercizio della critica del testo al fine di evidenziare «l’evolversi delle dottrine nella giurisprudenza classica, il lavorio dei compilatori bizantini diretto a rendere i frammenti più omogenei» (Baviera). Nel 1898 Riccobono pubblicò anche un corposo saggio dal titolo Scholia Sinaitica, definito da Baviera come «un vero gioiello di metodo di ricerca e di analisi … non esiste uno eguale in tutta la letteratura sull’argomento». Riccobono distinse il contenuto degli scolii in quattro masse e sostenne che il contenuto dei frammenti «non è il prodotto di un solo individuo, che piuttosto si venne formando in tempi diversi», individuando, inoltre, numerose interpolazioni di alcuni frammenti riportati nel Digesto. Ritenne che il manoscritto pervenuto dovesse rappresentare un’opera di commento prodotta da una scuola di diritto, forse di Berito, e che rappresentasse l’estratto di un commento greco. Si può quindi affermare che «sin dal 1898 il Riccobono intuisce la grande importanza delle collezioni giuridiche bizantine per la conoscenza e la ricostruzione di istituti e dottrine classiche» (Riccobono Jr.). L’apporto di Riccobono al rinnovamento degli studi romanistici attraverso il metodo della critica del testo ha rappresentato un punto di riferimento necessario per la formazione di un gran numero di romanisti. Le metodologie di ricerca e di studio di Riccobono, strettamente ancorate ad un rigoroso impianto esegetico, continuano ad essere tutt’oggi un prezioso punto di riferimento per i romanisti del XXI secolo.
Tratto da Rosanna Ortu, in Storia dell'Università di Sassari a cura di Antonello Mattone