Francesco Cossiga (nota di O. Chessa)
Professore di Diritto costituzionale regionale nella Facoltà di Giurisprudenza
Francesco Cossiga, il futuro Presidente della Repubblica, muove i primi passi della sua carriera accademica (e politica) a Sassari, sua città natale ma, in fondo, è figlio del suo paese d’origine, Siligo, piccolo centro situato nel mezzo di quella sub-regione della Sardegna chiamata “Mejlogu”, “luogo di mezzo”; e Cossiga – verrebbe da dire: metonimicamente – è in tutto e per tutto un “uomo di mezzo”, continuamente sospeso tra le origini che intende preservare e il cambiamento che, soprattutto da politico, fu chiamato a gestire quasi di giorno in giorno. Mai, però, egli ha sconfessato un piccolo ma coriaceo nucleo di principi per lui assolutamente intangibili, o – come si di- rebbe con terminologia più à la page – “non negoziabili”. Principi che sono ben presenti nella sua produzione dottrinale. Il primo esempio che ci piace portare a conforto di tale profilo è un lavoro pubblicato nel 1950 sulla Rassegna di diritto pubblico. Il titolo è I membri dei consigli regionali godono della inviolabilità parlamentare: si tratta di un’an- notazione (non adesiva) a una pronunzia delle Sezioni riunite della Corte di cassazione del 1950, con cui il supremo Collegio censurava la prassi dell’Assemblea regionale e della magistratura siciliana di estendere analogicamen- te l’istituto dell’inviolabilità parlamentare ai consiglieri regionali dell’isola. Una delle premesse che – anche se non esplicitata – sta a fondamento della ricostruzione cossighiana, è la comune natura di tutte le assemblee legislative, quale che sia il livello di governo nel quale si collocano: in altre parole, se c’è identità sotto il profilo funzionale – e in questo caso c’è, perché il parlamento nazionale e i consigli regionali condividono la titolarità della funzione legislativa – allora deve esserci pure identità di struttura, sia sotto il profilo dei principi organizzativi essenziali, sia sotto il profilo delle posizioni soggettive spettanti ai loro membri. Sotto il profilo del metodo e della concezione teorica generale, nel saggio in oggetto trapela un’i- dea peculiare di Costituzione, che non è solo un testo, ma anche un insieme di valori extratestuali i quali non solo fondano il valore giuridico del testo costituzionale, ma che altresì – pure alla luce degli svolgimenti della prassi - debbono orientare l’attuazione e l’interpretazione delle disposizioni scritte. Questa teoria del è ben visibile nello scritto cossighiano dell’anno successivo (nel 1951), il cui titolo è Diritto di petizione e diritti di libertà, pubblicato in Il Foro padano. È un saggio che ha per oggetto il diritto di petizione. In tale scritto, più che il tema in sé, sembra rilevare – retrospetti- vamente – la concezione giuridica del futuro Presidente, che, fedele alla sua impostazione fondamentalmente storicistica, vede nella Costituzione il prodotto dell’interazione tra norme formali, prassi applicative ed azione popolare: «la caratteristica peculiare degli ordinamenti democratici, prima e più ancora che da una organizzazione formale degli organi costituzionali, è data da una effettiva partecipazione della base popolare alla vita dello Stato». Francesco Cossiga non è stato solo uomo politico e delle istituzioni in tempi di transizione, non è stato solo “uomo di mezzo”; è stato anche “uomo in mezzo”, in mezzo al popolo, alla gente di Sardegna. In particolare, l’attenzione del giovane studioso per i problemi della sua terra è ben visi- bile negli scritti aventi a oggetto le competenze regionali in materia creditizia (1952) e la libertà d’espatrio e d’emigrazione (1953). I due saggi in pa- rola (particolarmente il secondo) testimoniano il forte rapporto che il futuro Presidente ha sempre mantenuto con le problematiche sociali della Sardegna, e non è forse sbagliato ipotizzare che gli studi in questione possano aver rappresentato il primo “servizio” che il giovane Francesco Cos- siga pensava di rendere alla comunità, nei limiti delle sue possibilità e dei suoi mezzi del momento. Il profilo scientifico dello studioso Cossiga si chiude con un ultimo saggio, che non appartiene alla produzione scientifica in sen- so proprio. Si tratta del messaggio presidenziale sulle riforme costituzionali trasmesso alle Camere il 26 giugno 1991 (ai sensi, ovviamente, dell’art. 87, secondo comma, della Costituzione) e che più e meglio d’ogni altro racchiu- de – con ampiezza e coerenza di svolgimenti – la dottrina costituzionale di Francesco Cossiga. Fu – non a caso – un saggio che ebbe vasta eco non solo nel dibattito politico-giornalistico del tempo, ma anche nel dibattito speci- ficamente costituzionalistico di allora. Per il vero, le opinioni per la maggior parte non furono adesive e i contenuti del messaggio vennero criticati anche aspramente. Col senno di poi molti di questi giudizi negativi, probabil- mente, andrebbero rivisti, soprattutto quelli concernenti le proposte di Cossiga circa il metodo da seguire per la realizzazione delle riforme costituzionali. In particolare, il messaggio proponeva di modificare l’art. 138 della Co- stituzione in modo da sostituire il procedimento di revisione costituzionale vigente con un procedimento imperniato sull’elezione di un’Assemblea costituente, cui affidare il compito di riscrivere la parte organizzativa della Co- stituzione italiana. Insieme alle proposte e analisi in tema di forma di governo, fu indubbiamente il passo più criticato da parte della dottrina costituzionalistica del tempo. In particolare non piacque il riferimento alla necessità di avviare un processo costituente, poiché si riteneva che il potere costituente fosse ormai “esaurito” e che non fosse possibile riattivarlo senza porsi al di fuori della legalità costituzionale. In realtà, Cossiga non intendeva evo- care la necessità di un potere costituente assoluto e totale, che facesse piazza pulita del passato marcando una profonda discontinuità con le realizzazioni costituzionali del dopoguerra. Non abbandonò mai l’idea, già vigorosa- mente avanzata negli scritti giovanili, che al di sopra del testo costituzionale vi fossero taluni principi superiori – “supremi” direbbe la dottrina costituzionalistica – che concernono la sovranità popolare, le libertà fondamentali dell’individuo, i principi di eguaglianza, i diritti sociali; principi che una costituzione democratico-pluralista, e le riforme di una costituzione democratico-pluralista, non potrebbero cancellare o depotenziare senza con ciò tradire la missione e il significato che sono propri di una costituzione degna di questo nome: la costituzione non è qualsiasi atto che organizzi il potere, ma è quell’atto che organizza il potere secondo certi valori e certi principi che la cultura del costituzionalismo considera irrinunciabili. Ciò premesso, Cossiga semplicemente osservava che si era alla vigilia di trasformazioni costituzionali spontanee, non volute e impreviste – come puntualmente accadde di lì a un paio d’anni, quando in seguito all’introduzione del sistema elettorale maggioritario mutò la fisionomia dei partiti allora esistenti e furono travolte molte convenzioni costituzionali seguite fino a quel momento. A giudizio di Cossiga, il sistema politico-partitico e la stessa nazione italiana non potevano rimanere inerti di fronte a questi processi trasformativi, non potevano subirli passivamente: dovevano invece riprendere in mano le redini del pro- prio futuro costituzionale, come avevano fatto i Padri costituenti, nonostante le macerie della seconda guerra mondiale. Cossiga è passato alla storia per essere stato il grande picconatore delle istituzioni repubblicane. In real- tà, probabilmente, è stato l’ultimo dei grandi uomini politici italiani a credere nella capacità di autoriforma del sistema politico e a nutrire una profonda fiducia nella capacità del popolo italiano di gestire con consapevolezza il proprio destino costituzionale.
Tratto da Omar Chessa, "Commemorazione del Prof. Francesco Cossiga" (www.dirittoestoria.it)