Enrico Besta
Professore di Storia del diritto italiano nella Facoltà di Giurisprudenza.
Enrico Besta nacque a Trevisio (Sondrio) il 30 giugno 1874 da Carlo e Francesca Guicciardi (entrambi appartenenti alla vecchia nobiltà capitaneale). Rimasto orfano in tenera età si prese cura di lui lo zio Fa- bio Besta, docente di ragioneria alla Scuola Superiore di Commercio di Venezia. Iscrittosi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, ebbe come maestri Antonio Pertile, Vittorio Polacco, Achille Loria, Luigi Luzzati, Carlo Francesco Ferraris e, soprattutto, Biagio Brugi che seguì i suoi primi lavori. A vent’anni, ancora studente, pubblicò nel 1894 il volume su Riccardo Malombra professore nello studio di Padova. Si laureò nel 1895 e l’anno successivo, rielaborando la sua tesi di laurea, discussa con Brugi, diede alle stampe i due volumi su L’opera di Irnerio: contributo alla storia del diritto italiano, che atti- rarono sul giovane studioso l’attenzione della storiografia giuridica italiana e straniera. Approfondiva intanto lo studio delle istituzioni giuridiche venete, dagli statuti alle consuetudini, dal diritto privato al Senato veneziano. Nel 1897 partecipò al concorso per la cattedra sassarese di Storia del diritto italiano, classificandosi secondo, dopo Federico Patetta che però non accettò la nomina. Il Ministero nominò allora Besta professore straordinario. Nel 1898 nella prelezione sassarese su Il diritto sardo nel Medioevo, attuava la prima revisione integrale di un tema su cui solo occasionalmente si erano avventurati altri studiosi: egli era consapevole del valore innovativo del suo studio, nel quale erano «esposte idee in molti punti nuove», che tracciava un quadro esaustivo delle «condizioni giuridiche della Sarde- gna dalla caduta dell’impero romano all’avvento della signoria aragonese». La prelezione, «corredata di ampie note», prendeva in esa- me fonti scoperte di recente come i frammenti dello statuto di Castelsardo e il Condaghe di S. Pietro in Silki, di cui Giuliano Bonazzi sta- va curando l’edizione critica. Considerando la mancanza di ogni influenza germanica sull’isola, Besta sottolineava il peso (in un proces- so simile a quello veneziano) dell’eredità bizantina, ipotizzando la presenza di un «diritto volgare», espressione non soltanto di un anti- co sostrato giuridico romano (secondo le tesi di Mitteis e Brunner), ma anche di una elaborazione nuova e originale rispondente alle esigenze concrete della società. Il tema di un diritto locale che, pur affondando le sue radici nelle istituzioni romane, poi si sviluppa se- condo uno «svolgimento consuetudinario» autonomo venne affrontato, a proposito dell’istituto privatistico della comunione dei beni fra coniugi, il cosiddetto «matrimonio alla sardesca», anche nella prolusione inaugurale dell’anno accademico 1899-1900, dal titolo Sarde- gna feudale. Durante l’insegnamento sassarese Besta, secondo l’efficace espressione di Gian Piero Bognetti, prese «d’assalto la storia degli istituti dell’isola»: nacquero così i Nuovi studi su le origini, la storia e l’organizzazione dei Giudicati sardi (1901), Per la storia del Giudicato di Cagliari al principiare del secolo decimoterzo (1901), I Condaghi sardi (1903), Di alcune leggi e ordinanze di Ugone IV [recte III] d’Arborea (1904), Appunti cronologici sul Condaghe di San Pietro di Silchis (1905), Il Liber Judicum turritanorum con altri documenti logudoresi (1906), Per la storia dell’Arborea nella prima metà del sec. XIII (1907), Postille storiche al Condaghe di San Michele di Salve- nor (1913). Curò inoltre l’edizione di importanti fonti medievali sarde come i Frammenti di un antico statuto di Castelsardo (1899), la Carta de Logu de Arborea (1905), in collaborazione con Pier Enea Guarne- rio, e i Condaghi di San Nicola di Trullas e Santa Maria di Bonarcado (1938), in collaborazione con Arrigo Solmi. Besta si integrò assai bene nella società sassarese («A Sassari colta ed ospitale come un ri- cordo e come un saluto», è la dedica di un suo studio giuridico pubblicato al momento del suo trasferimento), dove strinse rapporti di amicizia destinati a durare tutta la vita. Nella sede sassarese formò inoltre diversi allievi come Benvenuto Pitzorno, Antonio Mocci, Damiano Filia e, più tardi, Antonio Era. L’insegnamento sassarese di Besta – come quello quasi coevo di Arrigo Solmi nell’ateneo cagliaritano (1902-05) – ebbe un ruolo decisivo nell’aprire orizzonti nuovi alla storiografia giuridica sulla Sardegna in linea con le nuove correnti di orientamento positivista. Nel 1904 Besta si trasferì nella facoltà di Giu- risprudenza dell’Università di Palermo, dove sarebbe rimasto sino al 1909. Qui avrebbe continuato a rielaborare i suoi studi di storia giuridica sarda pubblicando la grande sintesi de La Sardegna medievale, articolata in due volumi, Le vicende politiche dal 450 al 1326 (1908) e Le istituzioni sociali e giuridiche (1909), un’opera per molti aspetti ancora insuperata. Ricoprì la cattedra di Storia del diritto italiano nel- le Università di Pisa (1909-24) e di Milano (1924-49). Accademico d’Italia e socio dei Lincei, nel 1936 fu presidente della Deputazione di storia patria per la Lombardia. Morì a Milano il 12 luglio 1952. Besta è stato uno dei grandi maestri della storia del diritto italiano della prima metà del Novecento: nella sua vasta produzione di oltre centocinquanta titoli, tra articoli e monografie, ha indagato gli argo- menti più vari della storia giuridica medievale, dalla scuola dei glossatori a quella dei commentatori, dal diritto di famiglia a quello criminale e processuale, dai formulari notarili alle consuetudini e agli statu- ti dell’Italia meridionale e della Sicilia, dalla Lex rhaetica alla Summa Perusina, dall’ordinamento veneziano ai comuni rurali, dalle successioni al contratto di soccida, ai numerosi studi sulla storia di Sondrio, Bormio e della Valtellina. Notevole fu il contributo di Besta a grandi opere sistematiche, come la Storia del diritto italiano, ideata da Pasquale Del Giudice, nella quale gli fu affidata la parte relativa alle fonti nel Medioevo, dalla caduta dell’Impero romano alla fine del XV secolo (1923-25), considerata non a torto come uno dei suoi studi più meditati e profondi. Colpiscono inoltre per l’ampiezza del disegno anche le altre opere di sintesi, come l’Avviamento allo studio del diritto italiano (1926), Il Diritto pubblico italiano (1927-28), Le Persone nella storia del diritto italiano (1931), La Famiglia nella storia del diritto italiano (1933), Corso di fonti del diritto romano (1944). Si tratta in genere della risistemazione di corsi universitari, dove l’indagine scientifica e l’attività didattica erano strettamente legate, «corsi – come ha os- servato Bruno Paradisi –, che il Besta scriveva direttamente a macchina ed a memoria, che raccolgono ipotesi, prospettano soluzioni, accennano a polemiche e costituiscono un insieme di eccezionale valo- re ed una testimonianza straordinaria dell’ingegno dell’autore, che in essi rifletteva la sua immensa dottrina e le sue eminenti facoltà intuitive». Tratto da Antonello Mattone, in Storia dell'Università di Sassari