Arturo Rocco
Professore di Diritto e procedura penale nella Facoltà di Giurisprudenza
«Chi conobbe da vicino Arturo Rocco sa qual tempra di giurista egli fosse…Pure attraverso il suo traboccante eloquio partenopeo, nonostante la vaghezza delle sue boutades e dei suoi frizzi, spassosi senza sguaiaterie, mordenti senza volgarità, a dispetto di una certa asseveranza intransigente, prossima talvolta al dogmatismo, si sentiva, conversando con lui, di avere da fare con un talento giuridico fuori classe. Preciso nella individuazione dei concetti, abile nel definire cogliendo al volo analogie e dissimiglianze, espertissimo nella tecnica classificatoria, insuperabile nelle analisi, incisivo, logico, consequenziario, Rocco impersonava l’optimum del giureprudente, o meglio di un certo tipo di scienziato: quello avente come ideale la giurisprudenza pura»: con queste parole Giuseppe Maggiore tratteggiava la figura di Arturo Rocco nelle pagine degli Studi in memoria del giurista partenopeo. Nato a Napoli il 23 dicembre 1876, dopo la laurea in giurisprudenza, nel 1900 ebbe un incarico a Urbino dove insegnò Diritto e procedura penale fino al 1902. Succedendo a Vincenzo Manzini, tenne a Ferrara il corso di Diritto e procedura e penale e, per incarico, quello di Diritto internazionale pubblico e privato. Dal 1907 al 1909 insegnò nell’ateneo di Cagliari. Subentrato ancora una volta al Manzini, nel 1909 divenne professore straordinario presso l’ateneo di Sassari, dove rimase fino al suo trasferimento a Siena nel 1911. Rientrò a Napoli dove insegnò Diritto penale dal 1916 al 1924. Si trasferì indi a Milano per un quinquennio e chiuse la carriera accademica nell’Università di Roma, presso la quale fu anche direttore della Scuola di perfezionamento di Diritto penale. Codiresse gli Annali di diritto e procedura penale e fu tra i fondatori della Rivista italiana di diritto penale, oltre che membro di vari istituti e associazioni culturali. Fu esponente di spicco del movimento di rinnovamento degli studi penalistici, sviluppatosi in Italia agli inizi del Novecento e caratterizzato dal ripudio dell’impostazione sociologica e antropologica, propria della Scuola Positiva, e dalla ricerca di un’impostazione meramente giuridico-normativa dello studio del diritto penale. Secondo Mario Sbriccoli, Rocco ha avuto «un ruolo decisivo nel “depoliticizzare” la scienza giuridica penale italiana mentre era ancora in auge il riformismo giolittiano». La famosa prolusione al corso di Diritto e procedura penale pronunciata nell’università sassarese il 10 gennaio 1910, Il problema e il metodo della scienza del diritto penale – che costituisce, come ha osservato Ugo Spirito, un «programma di lavoro» e il «fondamento di un nuovo indirizzo scientifico» – viene convenzionalmente considerata come il momento di nascita di quello che lo stesso Rocco chiamò «metodo tecnico-giuridico». Autentico caposcuola di questo nuovo approccio metodologico, propugnò sempre una sorta di “dottrina pura” del diritto penale, condannando le sovrapposizioni con l’antropologia, la psicologia, la sociologia, la statistica, la filosofia del diritto e la politica e le loro conseguenti mistificazioni. La Scuola Classica – secondo Rocco – aveva avuto la colpa di considerare il diritto penale come immutabile e universale, la Scuola Positiva ne aveva fatto un’appendice della sociologia, approdando, a forza di distruggere e smantellare, ad «un diritto penale senza diritto». Così scriveva nella prolusione sassarese: «è giunto il momento di tenersi fermi, religiosamente e scrupolosamente attaccati allo studio del diritto positivo vigente. La scienza giuridica va circoscritta ad un sistema di principi di diritto, ad una conoscenza scientifica della disciplina giuridica dei delitti e delle pene. È questo l’indirizzo tecnico-giuridico, il solo indirizzo possibile in una scienza appunto giuridica». Politicamente vicino alle idee nazionaliste (fu stretto collaboratore delle riviste L’idea nazione e Politica), aderì al fascismo, svolgendo un ruolo di notevole rilievo nell’elaborazione della legislazione penale e processualpenale emanata dal regime. Presiedette, infatti, la Commissione e il comitato ministeriale per la redazione del progetto preliminare e definitivo del testo del Codice penale (1925- 30) e fu membro di quella costituita per la revisione del progetto preliminare del codice stesso (1927). Fece inoltre parte della Commissione ministeriale per la riforma del Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena (1930-31) e della Commissione reale per la riforma dei codici penali militari (1925-34). Fratello del guardasigilli Alfredo, Rocco ebbe un ruolo assolutamente preminente nella progettazione del Codice penale del 1931, di cui può essere a ragione considerato il vero padre intellettuale. In particolare porta la sua firma l’introduzione nel Codice di un sistema di «misure di sicurezza» parallelo a quello delle pene. Si spense a Roma il 2 aprile 1942, lasciando in eredità alla scienza penalistica un patrimonio di riflessioni che condizionarono in maniera determinante il dibattito dottrinario di tutto il Novecento. Fra le sue numerosissime pubblicazioni si possono ricordare: Trattato della cosa giudicata come causa di estinzione dell’azione penale, Modena, Antica Tipografia Soliani, 1900; “Responsabilità civile dei magistrati per errori giudiziari dovuti a loro negligenza o imperizia”, in Giustizia penale, IX (1903), fasc. 16; “Il problema e il metodo della scienza del diritto penale”, in Rivista di diritto e procedura penale, I (1910), pp. 497-521; Opere giuridiche, 3 voll., Roma, Foro Italiano, 1932-33; Le dottrine generali del diritto penale, Roma, Libreria Castellani, 1935; Scienza italiana e scienza tedesca del diritto penale, Torino, UTET, 1936.
Tratto da Eloisa Mura in Storia dell'Università di Sassari a cura di Antonello Mattone